La tipologia dell'abitazione semplice di Ardara persiste ormai solo in qualche esemplare, sopravvissuto alla filosofia iconoclasta che ha caratterizzato il piccolo centro del Logudoro negli ultimi venti anni e che vedeva in una vecchia casa fatiscente un elemento pericoloso alla pubblica incolumità, e quindi da radere al suolo.
Secondo l'inquadratura fornita dal geografo Maurice le Lannou, la casa logudorese è caratterizzata dalla perdita dello spazio vuoto e dalla sua contrazione a vantaggio del pieno, a differenza delle case introverse del Campidano o a quelle sviluppate in altezza dei centri montani. L'abitazione ardarese non fa eccezione a questa etichetta, costituita da un vano (più raramente due) al piano terra, ed un ambiente rialzato di modeste dimensioni (s'apposentu).
La peculiarità che la evidenzia è quella di essere costruita in gran parte con i conci squadrati e bugnati, in calcare o in trachite, provenienti dai ruderi del Palazzo Giudicale: l'archeologo Giovanni Spano, nel febbraio 1860 riferisce che la distruzione dell'antico castello "deve ripetersi, non tanto dalla smania di cercar tesori, e dall'ingordigia dei proprietari di case togliendo i materiali da ogni parte, quanto dall'impresario della casa comunale e della scuola elementare il quale togliendo i massi quadri del quale è rivestito, determinò il crollo di più della metà [...]".
Ruderi della fortezza giudicale incastonati in un muro perimetrale di un'abitazione lungo la via Vittorio Emanuele
La storia che vede nell'antico castello giudicale una Bastiglia da abbattere durante l'ondata di moti antifeudali sul limitare del XVIII secolo deve essere rivista, in quanto invece costituì una cava di materiale pronto all'uso. I recentissimi scavi archeologici hanno permesso di evidenziare, tra l'altro, le impronte sulla malta dei grossi conci prelevati, che hanno lasciato completamente spoglio il sacco delle strutture murarie le quali richiedono un intervento urgente di consolidamento.
L'elemento minimo abitativo presenta numerose inserzioni di blocchi squadrati e bugnati (le dimensioni sono le più varie, andando da cm 25x25x30 a cm 60x30x38 ecc.) che ritroviamo, non solo nelle fasce laterali, ma anche nelle pareti degli alzati, inframmezzati alle sottili pietre calcaree locali.
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- stipiti e pietre angolari realizzate con i conci trachitici;
- residui di centinatura;
- architrave in legno;
- architrave in pietra scolpita;
- aggetto di gronda con doppia orditura di coppi;
- orditura con arcareci e travi di legno;
- manto di copertura in coppi collocati su impalcato di canne;
- sa lòriga
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Disegno schematico raffigurante la casa minima costituita da conci sottratti alle mura del palazzo giudicale e con pietre calcaree locali. (dis. Stefano A. Tedde)
L'architrave che presenta l'abitazione minima è in pietra, spesso decorata: venivano probabilmente scelti quei manufatti che presentavano motivi fitomorfi di matrice bizantina, come si può osservare in una fatiscente abitazione sita il largo Adelasia; in altri casi si è preferito usare travi di legno, specialmente per finestre a luce modesta. A volte compaiono centinature o residui di volute coperti da generose mani di cemento; nella facciata è presente spesso sa loriga, grosso anello di pietra per legare con funi buoi, asini o cavalli. Gli alti elementi costitutivi della dimora semplice ardarese non si discostano dalle altre case del Logudoro-Meilogu avendo un aggetto di gronda con doppia orditura di coppi visibili in facciata, il tetto è costituito da un'orditura con arcarecci e travi di legno, i coppi sono collocati su un impalcato di canne.
Le case che invece si snodano lungo via Isabella Scanu costituiscono un modus abitativo a sé: hanno ambienti piuttosto vasti (camere di quasi 120 mq in certi casi) che forse corrispondono agli "amplissimus aedibus" che lo storico G. F. Fara vide alla fine del 1500. In effetti, la media economica della popolazione è stata sempre piuttosto bassa e quindi non ci si poteva permettere l'edificazione ex novo di vasti ambienti, ma si costruiva sul preesistente, quindi, in questo caso, su magazzini o depositi del periodo giudicale (stesso discorso si potrebbe fare per il Municipio, eccessivamente sviluppato in altezza per il periodo in cui fu costruito). Inoltre alcune abitazioni poste lungo la predetta via hanno pozzi e cisterne al loro interno. Ardara non presenta "sos palattos" come altri centri limitrofi, forse proprio per le modeste tasche degli abitanti, assoggettati al prepotente vassallaggio degli ozieresi. L'unico esempio di casa appartenente alla neoborghesia rurale è la dimora del sacerdote Antonio Carta, edificata nella seconda metà del XIX secolo, costituita da 4 vani al piano terra, 4 al piano superiore e 4 al secondo piano, collegati da una scala interna che si sviluppa al centro dell'edificio, in apposito vano.
Le abitazioni che nascono agli inizi del XX secolo, lontano dal castello (nella parte di paese che veniva chiamata "carrelas de josso"), sono quasi totalmente prive di conci squadrati, evidentemente non conveniva trasportare le poche vestigia litiche medievali per tutto il borgo. Curiosamente l'attuale declino in cui versa la chiesa di Santa Croce (edificata alla fine dell'Ottocento) ci regala la vista di una serie di conci che costituiscono lo zoccolo perimetrale del tempio: ci si chiede se un'attenta lettura stratigrafica può rivelarne la provenienza (dalla distrutta cappella castrense o dal palazzo giudicale?).
Concludendo possiamo affermare che neanche Ardara è rimasta immune a quel cancro moderno che intacca e sostituisce l'antica edilizia della pietra: ecco che nella periferia, nelle nuove aree fabbricabili, o peggio ancora, vicino alla basilica di Nostra Signora del Regno sorgono villette civettuole, case pretenziose, riadattamenti in stile falso moresco o pseudoclassico, dai colori accesi e di un kitch spaventoso. Dov'è finita la pietra dei nuraghi, dei dolmen, delle chiese, degli ovili, dei muri a secco? Perché non reinvestire sul tessuto litico, magari affidandosi a contributi e a indennizzi che ogni tanto appaiono tra le poltrone della Regione Sardegna?
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