Il delicato colore delle pervincheBasta a volte Il colore di un fiore a suscitare intenso il bisogno di ricordi...
Su quel campetto, giusto qualche palmo quadrato di terreno brullo e calpestato, ci ha giocato da bambino: a Foot-ball come ancora, nonostante l'autarchia anche linguistica voluta dal Fascimo, veniva chiamato, con riconoscimento implicito delle sue origini, quello che poi sarebbe diventato per noi italiani il gioco del calcio o, più semplicemte il Calcio. Ma per tutti, allora,era il Foot-ball, di probabile lontana ideazione fiorentina ma fuor di dubbio importato, nella sua espressione moderna, dall'Inghilterra. Il Foot-ball, dunque, anzi, nella nostra dizione casareccia il Fubal. Ora che Ciriaco è tornato a Sassari per finire di consumarvi il tempo del suo pensionamento -così afferma evitando scaramanticamente di parlare di morte-, ora che dopo tanti, tantissimi anni ha rivisto la sua città l'ha trovata molto cambiata. Ingrandita soprattutto. Le antiche periferie, allora appena fuori le mura, hanno fagocitato avide la campagna intorno, ma il campetto c'è ancora. Vi si affacciano ora enormi caseggiati, senza originalità di forme e tristi e lo hanno trasformato in un giardinetto pubblico. Zona verde la chiamano, ma si sa che il verde di questi giardini non riluce come quello dei prati aperti; la rugiada sembra averli in uggia, sono sempre polverosi e stenti e ben poca gente li frequenta infettati come sono da caligini di camini e gas di scarico di automezzi. In questo, poi, manca il festoso schiamazzare di un tempo. Ciriaco ad ogni modo e lì per rivederlo il suo campetto. Si siede su una panchina di pietra nel punto dove, pressappoco, i suoi compagni di squadra ammonticchiavano giacchette, maglioni e berretti per delimitare la Porta che di solito era lui a difendere, chiude gli occhi e riesce a rivederlo il campetto. E risente anche, nitido, non soverchiato dal rumore dei motori delle tante automobili che passano, il furioso discutere che a volte il fervore del gioco suscitava. Rivive in quell'istante il tempo di allora e con tale intensità che quasi ne è spaventato. Allora gli occhi li riapre: per verificare, ma non c'è più nulla di quel tempo.., O forse c'è... Quei gladioli celesti, forse, un po' gracili, laggiù in fondo in quell'aiuola maltenuta. Quelli, pensa, conservano qualcosa di allora, o meglio, il loro colore slavato la serba. Fa uno sforzo per ricordare, ma cosa? Non c'erano fiori nel campo. C'era tutt'attorno erba calpestata, pietre e quella fascia bassa di rovi lungo un lato dello spiazzo che andava ad abbarbicarsi tenace a quello che rimaneva di un vecchio muro a secco dove ora scorre un marciapiede ammattonato. E poi che altro? Finalmente la memoria, come a fargli un regalo, si decide a venirgli in aiuto e trae dal suo profondo sopore quel cespuglietto di pervinche celestine dal quale strappavano i fiori per suggerne il nettare come avidi goffi calabroni. Ed eccolo il ricordo: il delicato colore delle pervinche che lo ingolosivano da piccolo con la squisita dolcezza celata nei loro calici e poi, più grandicello, gli portavano con insistenza alla mente il colore degli occhi di Annunziata. Ecco cosa la memoria, ora generosa, gli offre. Per tutti, in casa e fuori, era Nunzia o molto più spesso Tina. Per lui, e forse solo per lui, era invece Annunziata e così la chiamava perché pensava che quell'accorciativo o ancora di più i diminutivi - quei nota Nunzia o Tina, come usava nelle notizie dei giornali che riguardavano gli autori di malefatte o, ancora più mestamente nei necrologi perché non sorgessero equivoci - privassero quel bel nome del significato di buon auspicio che aveva e che così bene esprimevano anche quei suoi grandi occhi celesti. Mille volte meglio, pensava Ciriaco, era usare il suo nome genuino, quello che le avevano dato al battesimo. E questo avrebbe anche voluto dirglielo. Avrebbe voluto sussurrarle: "I tuoi occhi hanno il gentile colore delle pervinche che, quando le golgo io, non sciupo come fanno gli altri ma vi poso lievi le mie labbra per assaporare la dolcezza delle tue". Parole meravigliose gli sembravano, che aveva scelto disponendole ora in questa ora in quell'altra sequenza per ottenerne l'effetto più efficace. Avrebbe voluto dirgliela quella frase splendida, mormorarle sospirando quelle parole così romantiche e audaci, ma non c'era mai riuscito. E si che si erano conosciuti e frequentati da tanti anni: da quando, ancora bambini, lei con le amichette andavano al campetto a vedere loro maschietti che davano calci a una palla di gomma mezzo sgonfia o addirittura, a volte, fetta di stracci infilati in una vecchia calza della cui modesta artigianalità lui, in sua presenza, un poco si vergognava sembrandogli di prendere parte a un gioco ridicolo. Ma poi capitava che si distraeva guardandola e incassava un gol per il quale i suoi compagni lo sgridavano dicendogli che era un ciappinu mentre lei che lo guardava con altrettanto palese interesse sembrava contenta dell'errore perché lo aveva commesso per ammirarla. E tutti e due erano felici, lui ne era certo. Era invaghito della ragazza, insomma, fino da allora, ma tanta era la sua timidezza che non era mai riuscito a dirglielo. Neanche quando, più grandicello, aveva incominciato ad intuire che non erano soltanto quei bellissimi occhi color pervinca di Annunziata ad esercitare una così intensa attrazione su di lui. La sua vicinanza, infatti, risvegliava in lui sensazioni sempre più facili da analizzare e capire perché era giuntu ad una età in cui sono i sensi ad imporre con maggiore veemenza il loro primato, quando la pelle brucia e il cuore s'infiamma soverchiando la ragione. Gli sembra strano, ora, che le cose siano andate veramente a quel modo, e mentre quei ricordi così lontani assumono contorni meno vaghi Ciriaco ne sorride non senza una indefinibile sensazione di rammarico. Ne avrebbe potuto trovare, pensa, parole dolci, appassionate e belle da dire ad Annunziata che col suo sguardo ansioso pareva invocarle. Ma il coraggio, l'abbiamo visto, non lo aveva trovato mai. Intanto, quando loro che erano coetanei stavano per compiere i diciasette anni, era arrivata la guerra. Ciriaco, essendo ancora troppo giovane, non era stato chiamato alle armi e pertanto si era trattato soltanto di aspettare che il conflitto finisse, ma per Annunziata il grave evento aveva segnato il mutamento totale ed imprevisto della sua esistenza. Ciriaco ora ci pensa, risente per un attimo quel lontano sgomento e si dice che anche la sua vita è giunta allora a una svolta fondamentale legata in buona parte alle stesse circostanze. Alla fine della guerra - avevano allora raggiunto i vent'anni — era capitato a Sassari un americano che fungeva, un po' alla buona, da interprete presso il Comando delle truppe alleate installatosi in città. Costhui poco aveva nell'aspetto dell'americano come allora lo immaginavamo noi, anglosassone, e molto invece di nostrano, un po' basso e tarchiato e scuro di pelle com'era. Il perché di questa affinità era facile da spiegare: Francis Careddu di sardi era figlio, anzi di sassaresi, emigrati dopo la prima guerra mondiale e naturalizzati americani, e per dimostrare l'autenticità di tale ascendenza - in chiave come si dice — storpiava, e se ne gloriava, qualche frase in sassarese, così almeno lui pensava di parlare. "Bapu miu" diceva, "natu acchì on Capu Lioni" e accompagnava il suo dire con un ampio ruotare del braccio teso come per indicare, aspettandosi il gradimento di tutti, che il Bapu suiu non in quel modesto sito sassarese fosse nato ma al centro dell'Universo. Se si toglieva però questo elementare retaggio di sardità non c'era nulla in Francis Careddu che non avesse portato dietro dall'altra sponda dell'Oceano. Era americanissimo il sergente Careddu e di quelli chiassosi, con l'OOchéi reiterato e le ancor più reiterate pacche sulle spalle. L'avevano conosciuto a uno dei tanti balli che la privazione nel periodo bellico aveva fatto tanto desiderare ed erano diventati amici. Ma quando era ripartito aveva portato con se anche Annunziata diventata americana anche lei perchè lo aveva sposato. Ora Ciriaco, seduto in quel giardinetto anonimo, si chiede come tutto ciò sia potuto accadere e così rapidamente. Certo che con la parlantina l'americano nei suoi confronti era in un rapporto di cento a zero...Ma Annunziata, via... Oh lei! perché? Pensandoci adesso lui riconosce che non poteva aspettare in eterno, e quella era una buona occasione, ricorda però che nei suoi occhi, quando gli aveva detto che se ne andava gli era sembrato di leggere un rimprovero disperato: "Oh. Ciriaco, perché non l'hai impedito? Sei tu la causa di tutto questo, tu che mi fai andare tanto lontano da te!" Non si erano più rivisti e gli anni avevano finito con l'allontanare dalla sua mente immagini e ricordi. Ma la sensazione dolorosa che la partenza di Annunziata avesse messo fine alla sua vita lo aveva afflitto per diverso tempo: gli sembrava che gli avessero strappato l'anima dal corpo, quasi fosse un reale organo interno come gli altri, e per un disumano malefizio lo avessero sostituito col freddo meccanismo di un automa. Per questo aveva finito con l'andarsene anche lui; fuggire dalle memorie, dai fantasmi di un tempo che, nel suo sgomento, gli era sembrato tragico e dimenticare, magari lavorando fino allo sfinimento, in luoghi sconosciuti e nuovi dove la gente gli fosse estranea e lui lo fosse ad essa. Così aveva emigrato in Germania, ad Hannover, dove aveva trovato lavoro in una acciaieria. E qui aveva incontrato quella che sarebbe stata la compagna di tutta la sua vita. Greten era una tedeschina scialba e priva di attrattive addetta alle pulizie nella fabbrica dove lui lavorava. Aveva viso scavato, capelli rossicci raccolti in traccine e occhi verde-grigio opachi e inespressivi. Non erano i luminosi occhi di Annunziata dalla quale, del resto, la tedesca differiva in tutto. "Non va bene" dicevano i compagni di lavoro italiani, "Non può andar bene né bene può finire soprattutto perché è stata lei a prendere l'iniziativa e a insistere per mettervi assieme. Lo ha fatto solo per interesse" aggiungevano, "non può durare". Che interesse ci fosse poi a sposare un poveraccio come lei era tutto da spiegare. Ciriaco non aveva dato ascolto a nessuno, l'aveva sposata e questa era risultata la scelta giusta: il suo matrimonio era stato perfetto e l'accordo completo. Dove Ciriaco si mostrava titubante e impacciato c'era Greten col suo fare sicuro e volitivo, tanto contrastante col suo aspetto dimesso, a risolvere i problemi quotidiani, quando era invece Greten a sentirsi stanca e sconfortata per qualche avversità c'era Ciriaco a confortarla e farsi carico anche delle fatiche domestiche. E soprattutto era stato un matrimonio solido, anche se non di eccessivi slanci passionali, nel quale i valori più importanti erano stati il sacrificarsi uno per l'altra, la sincerità dei sentimenti e la sicura fedeltà. Ne era del resto conferma la durata serena di oltre cinquantanni fino alla morte di Greten. Allora, non per dimenticare questa volta ma per lenire la sua tristezza, era ricorso alla stessa panacea che lo aveva portato tanto lontano dalla sua terra: tornarvi a questa, ritrovare i luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza. Greten non gli aveva dato figli e pertanto non lasciava nessuno in Germania. A Sassari non lo aspettava più nessuno ormai, ma avrebbe ritrovato il sole e gli ambienti luminosi nei quali era cresciuto, la sua campagna, il suo mare e il suo cielo ormai quasi dimenticati. Ciriaco trascorre col pensiero la sua vita e si sorprende constatando quanto questa, in fondo, sia stata semplice, forse con due soli momenti di rilievo: un precario, doloroso amore giovanile e, quasi a compensazione, un tranquillo matrimonio senza grandi tormenti e drammi ma sorretto da stima e rispetto. Annunziata e Greten, una supporto all'altra nella sua memoria ma nient'altro oltre loro due. Neanche quel campetto che ha ritenuto tanto importante e che ora non c'è più. Cosa c'è venuto a fare? Cosa ha creduto di trovarci? Scuote il capo ed quasi deciso ad andarsene, ma poi lo trattiene la presenza di un uomo che viene a sederglisi accanto sulla panchina di pietra. E' meno vecchio di lui ma comunque abbastanza avanti con gli anni. Toglie dalla tasca un biscotto e incomincia a sbriciolarlo davanti a se. Ciriaco è preso da curiosità: quel lungo rimembrare gli ha messo voglia di discorrere ora con qualcuno, di scacciare dalla sua mente i pensieri che l'hanno tenuta occupata fino a quel momento. "Per i colombi?" chiede all'uomo pure sembrandogli inutile farlo. "No, per i fringuelli" risponde quello, ma Ciriaco non vi trova l'intenzione di essere impertinente; che davvero si aspetti che ci siano i fringuelli e che vengano a posarsi li, davanti a lui, a beccare le briciole? "Non ce ne sono qui" osserva. "No? Da noi nei parchi ci sono". Vorrebbe rispondere che quello non è un parco , è solo un campetto trasformato in giardinetto, ma la curiosità è più forte. "Da voi dove?" s'informa. " In America, sono americano io e ci devo tornare in America. Sono passati tanti anni da quando ho lasciato il mio paese, ma ora ci ritorno. Avevo quindici anni quando siamo venuti in Italia". Ciriaco lo guarda e calcola che l'uomo è prossimo alla sessantina; una lunga attesa per un ritorno, ma non dice quello che pensa. Gli sorride soltanto e l'altro prosegue: "Se non l'infastidisce le racconto la mia storia, così, tanto per discorrere un poco, vuole? Ciriaco tace ancora ma continua a sorridergli e quello incomincia. "La mia storia, le racconterò, e quella dei miei genitori, che incomincia proprio qui a Sassari e se lei è sassarese forse le potrà interessare. "Era appena finita la guerra, immagino che lei lo ricordi bene quel periodo: fame, privazioni ma anche speranze e una gran voglia di vivere dicono che è stato, ed è allora che mia madre ha conosciuto mio padre, militare americano, lo ha sposato ed è partita per l'America come del resto hanno fatto diverse altre ragazze italiane. Storia banale mi dirà lei e si chiederà se proprio deve ascoltare questo tizio che gliela viene a raccontare. E invece banale non è perché vi è intrecciato un grande amore" "Beh" osserva Ciriaco, " una storia d'amore deve essere stata e grande anche, come lei dice, se sua madre ha deciso di seguirlo e andare tanto lontano lasciando tutto: casa, famiglia, affetti, amicizie, la sua terra,tutto insomma,,." ma incomincia intanto a sentire un inatteso turbamento. "Anche lei" pensa, ma scaccia poi quella idea un po' molesta, "semplice coincidenza" si dice, "tante altre ragazze italiane hanno sposato soldati americani e sono partite con loro. Lo ha detto anche questo che mi racconta la sua storia, vediamopiuttosto come va a finire ". "No, non è come lei pensa" prosegue quello, "l'amore c'entra ma in un altro modo, mi stia a sentire. Mio padre -non credo di offendere la sua memoria dicendolo-non meritava mia madre. Era un uomo non cattivo ma incostante e libertino. Ha tradito subito mia madre e il matrimonio è andato avanti così, più in burrasche che in bonacce se posso usare queste immagini. Era fatto così mio padre: cento volte pentito, e magari era sincero, e altrettante volte recidivo. Un uomo inaffidabile insomma. "La mia nascita, poi, anziché aggiustarle ha peggiorato le cose. Mamma, ora, impegnata di più con la casa e con me e lui più libero di dedicarsi alle sue trasgressioni. Ha finito col mettersi con un'altra e ha divorziato da mamma che ha dovuto sfinirsi di lavoro per tirarmi su: lavori umili e talvolta umilianti. Poi, quando ho compiuto quindici anni ha deciso di tornare qui come ho già detto. E ha continuato a lavorare perché potessi studiare. Sono professore di matematica sa?" "Il grande amore è stato quindi per il figlio, per lei intendo" osserva Ciriaco. "No caro signore, sbaglia ancora. E' stato per un uomo, l'unico amore della sua vita. E non pensi che l'abbia fatto per dispetto o per il desiderio di far pagare con uguale moneta i torti subiti. Mia madre è morta un anno fa che ne aveva ottantadue di anni ed è sepolta qui nel vostro cimitero. E per tutto questo tempo, qui e laggiù a Detroit, ha amato un fantasma! Ma di vero amore. Era un suo coetaneo, vede, che amava già da bambina e ha continuato ad amare fin quando è vissuta. E anche lui l'amava, ma non se lo sono mai detto. Forse lo faranno ora lassù. Per tanto tempo è stato il suo geloso segreto, ma quando ha capito che si stava avvicinando la fine me lo ha confidato. Con chi poteva farlo se non con me, quel figlio che aveva desiderato tanto che fosse di quell'altro e che forse così un poco mi considerava? E mi ha detto anche che, tornata in Sardegna, aveva cercato di ritrovarlo ma inutilmente. Aveva emigrato subito dopo la guerra, le avevano detto i pochi che lo ricordavano, ma nessuno sapeva dove né se ancora viveva. Ciriaco si sente invadere ora da un profondo turbamento. "Ma lei" chiede "perché mi ha raccontato tutto questo?" "Per discorrere glielo ho detto" gli risponde, Ma poi: "Voglo però essere sincero con lei; mia madre prima di morire mi ha fatto promettere che io lo avrei cercato ancora per dirgli, se lo avessi incontrato, quanto lei lo ha amato. E' una storia particolaremente inconsueta, ma io l'ho fatto. Ho esaudito il desiderio di mia madre. E' stato e lo sarà sempre; avevano la stessa età e penso che ormai sia tardi. Così ho quella che le sembrerà un'ultima stravaganza. Io torno in America ma prima di farlo, almeno virtualmente ho voluto accontentare mia madre dicendo la storia a lei che mi pare che abbia pressappoco la sua stessa età e che ne terrà vivo il ricordo, le auguro e mi auguro, per diversi anni qui a Sassari dove la storia è incominciata" Poi bruscamente e inaspettatamente: "Non vorrei averla infastidita signore, se è stato così mi dispiace e le chiedo scusa..." E si allontana dimenticando anche i suoi in l'impressione che la sua figura si dissolva di colpo, come in una fringuelli. Ciriaco ha l'impressione che la sua figura si dossolva di colpo, come in una nebbia, là dove lo sguardo ancora potrebbe seguirla e indugia nel guardare pensando di vederlo ricomparire... Che il riproporsi il passato con tanta insistenza lo abbia suggestionato al punto di fargli vedere e sentire quello che non c'è? Ma no, le briciole davanti alla panchina sono ancora lì dove un passero adesso tenta di avvicinarsi. No quell'uomo c'era davvero. Non ha pronuciato alcun nome, ma gli ha fatto la storia di Annunziata, di questo ne è certo. E gli ha fatto conoscere la parte più bella e segreta della sua vita, quell'amore lungo e inestinguibile per lui, haintravedere quella che avrebbe potuto essere la loro storia. Adesso Ciriaco sente una irrefrebabile voglia di piangere come per un amaro tardivo rimorso. E' stato lui con la sua indecisione e le sue titubanze, pensa, la causa di tante sofferenze e umiliazioni per Annunziata, ma questa ora gli è di nuovo vicina. Andrà a cercare la sua tomba e le chiederà perdono. Subito lo vorrebbe fare, ma poi ci ripensa. Perchè? I morti hanno chiuso i loro occhi al mondo e alle passioni che lo tormentano; per sempre li hanno chiusi. La sua Annunziata, invece, è tornata a rivivere è quella del racconto che glien'è stato fatto, quella di un amore lungo un'esistenza che è tornata per cercarlo. E quell'amore,adesso, glielo vede risplendere in quei suoi occhi meravigliosi. Gli occhi che hanno il delicato colore delle pervinche.
Palmiro De Giovanni (Sassari)
1° premio 2003 (Sezione prosa «Angelo Dettori»)