Documenti di supporto

traccia audio

testo in sardo

 

Nichettu Saba

Memorie di un ragazzo di campagna

Una testimonianza su come era la vita dei ragazzi di campagna nel passato
Nicheddu Saba


(Mi chiamo Nicheddu Saba, ozierese). Gli ottantuno anni gli ho superati, le nozze d’argento le ho fatte, le nozze d’oro le ho fatte, le nozze di diamante le ho fatte e ora sto puntando fino al punto in cui posso arrivare. Sono un uomo vecchio, sento poco, vedo poco, l’unica cosa che mi è rimasta è la mente e la voglia di dialogare. Quando mi hanno detto di venire qui, mi hanno detto che si trattava di intavolare un discorso, si trattava di intavolare un discorso dal momento che ero un uomo di campagna e dovevo parlare delle cose di campagna.

A me non è sembrato manco vero: mio nonno, dalla parte di mio padre fu pastore, si chiamava Antonio come me, come ci chiamiamo tutti; dall’altra parte, dalla parte di mia madre, si chiamava Vincenzo Niedda, si chiamava, e fu contadino e ortolano. Io ho seguito questo corso: sono nato in campagna, nel mese di Novembre del 1914. A soli quindici giorni (di vita), m’hanno battezzato e mi hanno riportato in campagna.

Ora mi dovete scusare perchè io sto uscendo fuori tema, ma è necessario che io dica ciò che so dire non ciò che non posso dire, io una cosa come questa...ho scelto questo tema, a me hanno chiesto questo favore e io adesso, vi piaccia o non vi piaccia, io tratto questo tema, se è sbagliato pazienza. Mi hanno riportato in campagna, mi hanno riportato, perchè vivevamo lì, mi hanno avvolto in una felzata perchè avevo quindici giorni, la felzata non è che sia una coperta ricamata: è una felzata che si faceva dall’orbace, solo che era colorata, perchè era per un bimbo appena nato, almeno quello c’era.

Per tornare dalla campagna ho dovuto attendere il 1920 perchè mi hanno portato su (in paese) per cresimarmi e per andare a scuola, e sono andato a scuola, sono andato. A scuola non è che fossi molto bravo, ma risultavo sempre promosso, risultavo, poi quando sono diventato grande che abbiamo affrontato questi argomenti mi dicevano: e si vede che si trattava di “voti di opinione”, dicono si chiamassero, e cosa significa questo “voto di opinione”, eh che, pur (essendo) bimbo-uccellino ti difendevi lo stesso.

E arriviamo alla quinta elementare, arriviamo, che allora era il massimo delle scuole, perchè fino ad allora, vero, le scuole terminavano con la quinta elementare, terminavano. Nel 1924 è arrivata la Riforma scolastica, si chiamava Riforma Gentile. Con questa Riforma scolastica, dovevi restare a scuola fino al compimento dei quattordici anni, altrimenti io, come fossi arrivato alla quinta, me ne sarei andato in campagna, me ne sarei andato, invece di mandarmi a quattordici anni, mi avrebbero mandato a dieci anni, c’ero quasi prima dei dieci anni.

E hanno inventato una scuola, si chiamava Corso integrativo di avviamento al lavoro a dirlo oggi è difficile, non era ancora quell’ Avviamento che poi è nato il ’30 e il ’35 eccetera, questa era una scuola vera e propria. Avevamo, c’era, avevamo una Lingua, avevamo, come si chiama, la scuola di Agraria, era l’Agraria che faceva quello che ora si chiama Ispettorato Agrario, allora si chiamava Cattedra ambulante di Agricoltura e ho fatto questa scuola. Ho fatto la prima, ho fatto la seconda, ho fatto, il giovedì scuola non si faceva allora, e il giovedì in campagna, la domenica in campagna, e così io ho seguitato a farmi campagnolo.

Ma non è che lo facessi... a scuola andavo perchè ero obbligato ad andare a scuola, ma la mia passione era andare in campagna: c’erano le vacche, le pecore, i maiali, i cavalli, mi facevano girare la testa, mi facevano girare, e poi per imparare tutte le altre cose che dovevo fare in campagna. E così sono arrivato all’ultimo anno, sono arrivato, alla terza, che adesso chiamano terza media, allora si chiamava ottava si chiamava. Dopo l’ottava si poteva andare in campagna. A questo primo corso che è il primo che hanno fatto dopo la Riforma Scolastica, all’ottava siamo arrivati in sette, siamo arrivati, siamo arrivati in sette ma eravamo oramai grandicelli, come si dice e così, c’era Scienze Naturali, Merceologia, Musica, Computisteria, Calligrafia, Scienze, questo e quest’altro, avevamo tutte queste materie, avevamo un Direttore didattico che ci insegnava Scienze Naturali e quelle cose. E....un pochino, a momenti, ho bisogno di riposare appena, nel timore di perdere il filo.

Stando là a scuola, a scuola, e con la testa in campagna. Nella campagna sapevo tutto ciò che vi succedeva, perchè in campagna siete vicino alla natura e imparate tutto quanto, pian piano, senza maestri e senza niente ma sapete tutto. A un certo punto, questo maestro si chiamava Giovanni Fadda, poiché era anche Direttore didattico, si firmava GIFA, G.Fadda, noi gli avevamo affibbiato Gifa come soprannome, e un giorno c’era lezione di Scienze naturali, scienze naturali, non mi ricordo com’era tutta questa faccenda, e poi ad un certo punto (l’argomento) è caduto sugli animali, è caduto.

Ora sembrerà una parolaccia ma mi compatirete, perchè io è necessario dica come la penso la vicenda, altrimenti non mi va bene. E ha detto questo, questo, questo maestro “ “i-i.il- era pure balbuziente, la so ancora imitare la parlata d questo maestro, mi è rimasta impressa in testa- i-i-l toro, qu-quando è – è castrato chi-chiamasi bue”, “cosa vuol dire, cosa vuol dire castrato?”- gli ho chiesto io. Boh, lui ha capito ch io sapevo tuta quanta questa...ha capito che io lo stavo prendendo in giro. “Sssst, t-te lo s-spiego s-subito, aspetta un attimino, t-ti faccio toccare co-con mano, con mano”. E’ sceso (dalla cattedra) piano-piano, si è avvicinato baso-basso, mi tira questo ceffone, per poco mi avrebbe smontato la testa. “Pre-prenditi i libri e va-vattene casa, tr-tre g-giorni d-di assenza e p-poi v-vieni accompagnato dai genitori”.

E sono andato a casa, quando sono andato a casa Babbo chiede “cos’è successo?” ho detto “così e così, così e osì”, “e perchè gliel’hai detto tu?”, “perchè lo sapevo, non è mica una vergogna, no, dire ciò ch vediamo in campagna e quel che facciamo e quel che impariamo: io questo l’avevo visto e lho detto”, “ma tu gliel’hai detto con malizia”, “Ba’, povero chi non ne ha di malizia” –“ e ora come fai?” – “ora, domattina, prendo lo zainetto e me ne vado in campagna”. E ho finito le scuole, non ci sono riandato, perchè non ci sono riandato.

Ho continuato a fare questa scuola, ho continuato a fare, quest’anno, ho fatto la campagna del fieno, perchè anche allora si imballava il fieno e si trasportavano le balle a spalla. Però dopo agli esami mi sono presentato, mi sono presentato perchè l’esame era un piccolo diploma, e sono risultato promosso: tutto quanto da otto in su, allora non si diceva nè sette nè otto, si diceva insufficiente, sufficiente si diceva, buono e lodevole ed io, in questo esame erano tutti quanti buono e lodevole. Mi sono preso il diploma, mi son preso, e me ne sono andato in campagna, me ne sono andato.

Ora per continuare a parlare non so neanche da quale punto iniziare, perchè iniziare ora dirvi come si semina il grano, non siete venuti per quello e non prendo questa discussione sul grano. Delle canzoni Ozieri è la regina delle canzoni, la regina dei poeti, la regina dei cantanti. Tutti abbiamo cantato, e come se abbiamo cantato tutti, abbiamo cantato ogni canzone e ora volete che vi canti una canzone? E come faccio a cantarvi una canzone? Come si dice, ma ve la canto in un modo diverso altrimenti il fiato non mi basta, e vi canto ciò che si diceva lì, quello che cantavamo noi “a voce di carro”, quando la notte stavamo rientrando, rientravamo con il carro del grano a scaricare a casa e quello si chiamava “voce di carro”. La voce di carro era, o era il RE, qui intanto il RE è il canto ozierese o erano i muttetos, i muttetos ognuno cantava (......pausa microfono) e come si dice, ma non è che devo cantare, vi canterei un mutteto ma siccome di cantare non ho abbastanza ardore, ve lo recito almeno, di sicuro voi avete sentito tutti quanti i muttetos che si possono cantare nel mondo ed è facile che vi faccia saltar fuori un mutteto che nona avete mai sentito:

La pera camusìcciri
Mi vendono in piàcciri
Secondo la moda di Otécciri

La pera camusìcciri
Se mi vuoi amàcciri
Cara colomba bécciri
L’amore non è cìcciri.

E’, per usare un paragone, perchè a cantare a novantun anni molte volte è persino una vergogna è, ci vuole solo la mi faccia tosta, per tutto quello che sto dicendo e quel che sto facendo, però ora, qualche volta mi hanno cercato per parlare, ho fatto lezioni nelle (scuole) elementari, ma ho sempre parlato in sardo, ne ho fatto nel Liceo scientifico, ne ho fatto nella (Università della) Terza età, ma sempre per fare queste stramberie, perchè sto facendo stramberie ora, sto facendo, e come, e risultavano contenti, risultavano. Prima di andarmene, da questi convegni che si facevano, c’era l’abitudine di fare gli auguri a tutti, di fare. Io ora non me ne posso andare senza fare gli auguri anche a tutti voi, perchè sono venuto qui, perchè mi avete accolto e poi perchè questa settimana sarà Natale, sarà. Gli auguri che si fanno sono sempre quelli antichi; la salute, il lavoro e la pace, sono le cose più belle che si possono avere.

Per questo (discorso) della pace poi, nel luogo dei poeti quale siamo, trovi sempre una canzone, ti fissi una canzone in testa che non ti esce più, che ti ricorda sempre la pace, la pace che devi predicare, la pace che devi portare dentro le tue viscere. Non dichiaralo a parole solamente, è anche saperle vivere. Noi a casa siamo partiti in due, siamo partiti in due, e poi ora, tra figli e figlie e generi e nuore e nipoti siamo in venti...venticinque siamo. Da quando mi sono sposato, a casa, è una grande fortuna, non si dovrebbe neanche dirlo, ma chi non crede alla superstizione lo può anche dire: in casa mia non è entrata mai una croce e siamo, tutti i 25, in pace. La pace: questa canzone non è farina del mio sacco, è una canzone di un nughedese, Salvatore Grolle, che aveva fatto la prima guerra mondiale e quando è rientrato, un grande poeta, non era rientrato felice, non è che li sia piaciuta la guerra e sempre faceva queste canzoni, e questa è una di quelle canzoni ce io dico a voi, che io ho incastonata nel cuore e ne faccio parte anche a voi, perchè ne entri un pezzetto come è entrato in me, è intitolata “il desiderio”, che poi è una parte di questa canzone, non è tutta, il desiderio che gli era entrato nel cuore a quest’uomo e diceva:

Se fosse stato secondo il mio piacere
Se l’avessi potuto fare continuamente
Avrei in primo luogo distrutto le armi da fuoco
E trasformate le avrei in cose
Che fossero per la vita più preziose
E successivamente
Avrei eliminato l’odio, l’egoismo, i furti
E nelle loro coscienze avrei piantato
Nel cuore di ogni creatura
L’albero della pace.

Grazie a tutti e Buon Natale a tutti.

 

Traduzione letterale a cura di Cristiano Becciu