Quando pensiamo ad un laboratorio pensiamo ad uno spazio ove si conducono delle analisi, degli esperimenti.
Esistono diversi tipi di memoria. Vi è la memoria a breve termine, che ci permette di ricordarci per qualche secondo, minuto od ora un nome, un titolo, un'informazione.
Vi è quella a lungo termine, nella quale immagazziniamo tutti i dati che riteniamo significativi e da dove attingeremo quando ci serviranno in futuro. Esiste anche una memoria biologica, una memoria del nostro corpo. Questa memoria, comune a tutti gli essere viventi, ci rende allo stesso tempo uguali agli altri esseri viventi, ma anche unici, diversi da tutti gli altri. Sto parlando di quel filamento a forma di elica che è stato denominato DNA.
Accanto ad una memoria biologica, esistono altre memorie, di più difficile individuazione, perché non stanno in un preciso punto del nostro corpo o mente. Parlo della memoria dei fatti culturali del passato, tutto quello che la razza umana ha fatto, sviluppato nel corso del tempo, e che in qualche modo ci portiamo dentro, anche se non ne siamo consapevoli.
Il senso ultimo di questo laboratorio della memoria è di contribuire a conoscere il passato, per sapersi orientare nel presente, per valorizzare la realtà nella quale viviamo, e fondare il futuro, investire idee, energie, desideri nello spazio e tempo che sta per prendere forma di fronte a noi.
Come tema portante di questo laboratorio abbiamo scelto il canto di lavoro. Una delle qualità più alte dell'essere umano è quella di sentire il bisogno di trasformare attività quotidiane in una dimensione estetica, in qualcosa che vada al di là della semplice azione meccanica. Il canto di lavoro nasce dal bisogno di trovare un piacere durante una attività che di per sé potrebbe essere percepita come noiosa, faticosa e ripetitiva.
Abbiamo scelto come rappresentativi tre diversi canti: il primo è un canto che si eseguiva quando si lavavano i panni al fiume, o al lavatoio pubblico. Il secondo quando si passava al setaccio il grano, il terzo quando si facevano dei lunghi viaggi in carro.
Prendiamo il primo canto di lavoro, quello che si cantava quando si andava al fiume per fare il bucato. Noi oggi siamo abituati a far fare il bucato alla lavatrice, una macchina relegata in un angolo della casa. È una attività individuale, meccanica. Nel passato, quando le donne portavano le ceste di bucato da lavare al fiume o alla vasca pubblica, si aspettavano di trovare altre donne, di tutte le età, con le quali socializzare e perché no, anche passare il tempo cantando.
Mi diceva una signora di un paese del Sulcis che ognuna aveva la sua pietra lungo il bordo del fiume, sulla quale fare il bucato, e che spesso i canti erano eseguiti a botta e risposta tra i due gruppi di donne che stavano su entrambi i lati del fiume. L'introduzione della lavatrice ha certamente reso meno faticoso e più rapida il lavaggio dei nostri panni sporchi, ma allo stesso tempo cosa abbiamo perso? La socializzazione, il momento in comune, lo stare insieme agli altri e il momento estetico che può nascere dalla interazione con gli altri.
Possiamo vedere nella serie di immagini in allegato lo stesso momento, lo stesso bisogno di lavare i panni al fiume, in diverse parti del mondo. Non pensate che queste persone siano molto lontane nel tempo. Anche se questi luoghi e le condizioni che le immagini rappresenta ci appaiono lontani da noi nello spazio, nel tempo non lo sono poi così tanto.
Il motivo per il quale propongo queste immagini, da diverse parti del globo, è per sottolineare un importante tema che dovrebbe caratterizzare questo laboratorio della memoria: il fatto che anche se ci stiamo concentrando a livello locale, dobbiamo avere una visione più vasta, più globale delle cose, sapere e riconoscere quel che ci accomuna con le altre culture. Questi canti di lavoro, nati in questa parte della Sardegna, hanno in se potenzialità che possono aiutarci a individuare anche una loro dimensione universale.
Roberto Cuccu