Io sono Giuseppe Saba, nato a Ozieri il dieci Agosto del 1935, ho settanta anni. Sono proprietario di un museo privato che si chiama “Museo Taverna dell'aquila”, sito ad Ozieri, nel rione di Cadeddu. Il museo è aperto a tutti, a chi desidera venire, e non mi posso lamentare assolutamente perché stanno venendo da ogni parte della Sardegna e da varie parti dell'Italia e anche oltre. Non si paga niente, assolutamente, anzi la gente può andar via contenta perché può bersi anche un aperitivo o anche un bicchiere di vino. Mi hanno contattato per informare la gente su come si lavava un tempo: io ho detto ciò che ho visto, quando ero piccolo, ad Ozieri, quando mia madre mi portava con se mano nella mano. Ora verificate voi, se ho commesso qualche errore correggetelo.
La gente andava a lavare, quando c'era un tanto di panni da lavare, poiché il lavatoio, che si chiamava anche su trógliu, era sempre aperto, perché era municipale, comunale diciamo così, ma prima era municipio. E si trovava nel rione di funtana ‘e giosso , alle spalle della fontana, fatto veramente con arte perché era veramente bello, con quelle colonnine di ferro realizzate a fusione, e con una bella tettoia a quattro spioventi.
Mi ricordo che era, dato che ci andavo da bambino, mi portava mia madre mano nella mano eh… una corsia interna di fronte alla porta (la porta era larga almeno due metri e cinquanta). A destra e a sinistra c'erano poi le vasche, con un piedistallo, prima un piedistallo per tutta la lunghezza. Le vasche erano lunghe grosso modo, ricordando come se fosse un sogno, sette, otto anche dieci metri, per due metri di larghezza, o anche due e cinquanta, perché le donne si disponevano una di fronte all'altra a lavare, e non si dovevano impedire l'una con l'altra, sollevando i panni per aria eccetera.
E generalmente quando la donna andava a lavare, badava alla zona dove si doveva mettere, dove innanzitutto c'era un posto libero, però allo stesso tempo dove c'era una compagna con cui poter discutere, che conosceva e anche per chiedere una mano quando doveva strizzare i panni, specialmente quelli grandi. Quindi allora c'era, si doveva portare con se il sapone. Il sapone era fatto dall'olio di lentisco, o erano messi anche nella lisciva, con la cenere che il fuoco produceva, il carbone, andava colata e lì lavavano i panni. Allo stesso tempo occorreva la taedda , un pezzo di legno fatto, un pezzo di tavola, legna, fatto alla bella meglio generalmente perché chi andava lì era gente povera. E si, era necessario pagare, per lavare lì i panni bisognava pagare una certa cifra.
La taedda serviva a batterli, li ammorbidiva perché fosse più facile anche strizzarli. I panni li lavava generalmente la madre di famiglia, ma quando c'erano figli piccoli, quelli che non poteva lasciare qualche casa vicina perché li tenessero, qualcuno se lo portava con se. E allora la madre di famiglia però, se c'era qualche figliola grande, mandava sempre la figlia, sempre che si trattasse di grande bucato, perché se non c'era tanto bucato ci andava sempre la mamma, a meno che non fosse stata troppo anziana o malata. Questo è per quanto riguarda il come si chiama, su trógliu . Però allo stesso tempo poi, si poteva lavare anche giù, nell'abbeveratoio, però quello era appunto un abbeveratoio, quello che è dove ora c'è l'Agip, giù, all'uscita di Ozieri, (dove c'era) Santo Bachisio, lì c'era un abbeveratoio che generalmente serviva per il bestiame, perché il bestiame scendeva nella parte inferiore (del paese), obbligatoriamente: i carri, i barrocci, e i calessi, con il cavallo, con l'asino e con i buoi, passavano sempre lì, e lì c'era l'abbeveratoio, sia per quando scendevano per andare a lavorare e sia per quando rientravano.
Però, allo stesso tempo, la gente dei pressi e simili, non trovando posto nel trógliu diciamo così, nell'abbeveratoio comunale lavava anche lì. E cosa si lavava? Gli indumenti che si avevano in famiglia: pantaloni, maglie, cappotti, cioè tutto quello che c'era in famiglia, indumenti da letto, tappetti, tutto ciò che si doveva lavare, perché in casa, intanto, vasche per lavare non ce n'erano , perché non c'era neanche acqua nei rubinetti, cosicché bisognava andare a sos tróglios . E lì ci andavano, non solo si recavano le povere, ma anche le ricche, non le ricche di persona, ma mandavano le inservienti, con il bucato però dei padroni che probabilmente era diverso dalla povera gente, però vanno sempre lì a lavare. Cioè le vasche erano fatte per innaffiare le verdure, però allo stesso tempo permettevano che la gente ci lavasse, lì era a pagamento, mentre nel trógliu, le lastre erano fatte, i cantoni…le vasche erano costruite con cantoni di tufo di Ozieri, gli ultimi, quelli che dovevano ultimare, l'ultimo, veniva realizzato in pendio, perché potesse scorrere l'acqua, mentre nelle vasche, siccome venivano fatte per innaffiare e allora erano livellate, ognuno doveva avere una parte del “suo cantone”, e lo custodiva per non lasciarlo lì, perché costava anche quello, non tutti potevano averlo.
Quello lo infilavano dietro per creare il pendio, in modo che l'acqua, quando si lavava, potesse scendere dentro la vasca. Allora i lavatoi generalmente, le vasche per lavare negli orti era questi: quello di Zio Mundeddu era il più rinomato, quello che si trovava sotto il palazzo di Ciciteddu, Sanguinetti, là, quello era il più rinomato, quindi si poteva lavare anche, c'era una vasca, su nella zona del Ponte, bar del Ponte, lì c'era un'altra vasca, anche lì ci andava la gente per lavare. Allora ce n'era un'altra presso Zio Giovanni Manchia, nella zona di Murada, allora ce n'era un'altra presso la tenuta di Pittoto, nella zona di Calamone, quindi c'era quella di Palazzoni, ecco queste erano quelle più in vista dove la gente andava a lavare.
Anche lì bisognava pagare una certa cifra. Allora, poi c'erano i fiumi: il più rinomato era il fiume di Murada e il fiume di Calamone, lì la gente obbligatoriamente, siccome nelle vasche, nel trógliu e nella vasca dopo esser stata in piedi, lì potevi inginocchiarti, perché il fiume era in basso, non il fiume, il rigagnolo, visto che erano fiumiciattoli, poiché allora le acque erano superficiali, questi rigagnoli non si prosciugavano mai, neanche in estate, perché uno in una campagna poteva andare a bere con una coppa di sughero.
Quella della fontana era acqua pulita, e quella che scorreva nei fiumi, nel rigagnolo, era ugualmente acqua pulita perché si trattava di acqua di vena no, che lì confluiva. Ecco: lì non si pagava invece. Allora mi ricordo che lì portavano i bambini, anche i bambini, anche dentro una cesta dove farli coricare: (nel caso ci fosse) un bimbo che non sapeva a chi lasciare in affidamento. E poi quando arrivava l'ora di mangiare, se non finivano per mezzogiorno, mangiavano lì, un pezzo di pane e formaggio o un pezzo di pane e cipolla o un pezzo di pane e ricotta o altrimenti cercavano erbe che conoscevano, di cui conoscevano le proprietà salutari.
Ecco, per lavare i panni c'era il sapone, fatto artigianalmente in famiglia, Il sapone che si faceva con le bacche del lentisco che si coglievano, quando le bacche erano nere. Il lentisco, le bacche con le palline, le produceva la pianta del lentisco, la macchia di lentisco, tantissime per ogni pianta, conformemente alla pianta si intende, ce n'erano grandi, ce n'erano piccole, allora la gente si portava dietro la cesta, un secchio qualunque, lo riponeva sotto, e fregava con le mani, e le bacche del lentisco scendevano dentro il come si chiama, in seguito era cotto a una certa temperatura, sul focolare s'intende, oppure nel camino, in seguito va depositato e sotto si fermentava, l'olio, bisognava scolare tutte le bacche del lentisco, e poi si confezionava a pacchetti come si chiama, si taglia con un coltello alla bella meglio, a formine da poter tenere in mano.
Allo stesso tempo c'era anche la lisciva, per lavare sia le padelle, quella…la lisciva serviva anche per le padelle, per tante cose, e anche per i panni. Giustamente le ricche potevano usare un altro metodo, ché il sapone lo potevano acquistare, però le poverette usavano il sapone di lentisco. Al fiume purtroppo, siccome le possibilità non c'erano, e chi andava al fiume vuol dire che era povera gente, non poteva neanche pagare, non solo pagare su trógliu, non poteva pagare nemmeno negli orti, e allora era obbligato ad andare presso i fiumi perché non si pagava, presso i rigagnoli, ed era un tantino lontano non è che fosse molto fuori zona, ma giustamente non era dentro il paese, quello era un po' lontano, però si andava a piedi.
Io ricordando ciò che posso ricordare, non ho mai visto qualcuno che andava in calesse a lavare, e neanche uno in carro, il carro doveva servire per altre cose, si andava a piedi e i panni si trasportavano sulla testa, e a volte si trasportava anche un bambino sulle braccia e a volte si aveva anche la cesta, perché nella cesta stava sdraiato il bimbo secondo l'età che aveva e certe volte trasportava anche la cesta più grande, la cesta quella fatta di canne, dove, nelle case, generalmente nelle case c'era perché ci mettessero i panni sporchi.
E allora quelle trasportavano il contenitore sulla testa e poi i panni sporchi anche nella cesta, perché poi quando erano lavati si riducevano ad uno spessore più sottile e potevano stare tutti nel contenitore. E allora cantavano, ecco come trascorreva il tempo questa gente, cantando anche qualche canzoncina, quelle canzoni che si usavano un tempo, chi cantava anche secondo la moda sarda, perché allora si utilizzava molto il sardo, chi cantava anche secondo la moda italiana, quegli stornelli, chi anche mutettos, anche in re, ce n'era qualcuna che cantava bene in re, e cantavano in re, chi cantava e chi ascoltava.
Per lavare non c'era orario perché alcune volte i panni erano pochi e alcune volte i panni erano molti, in dipendenza da quelli che trasportavano, certamente dovevano fare in fretta perché in casa avevano lasciato tanto da fare, allora a volte andavano presto, a volte tardi perché, se la famiglia era numerosa, prima di tutto dovevano preparare qualcuno per andare a scuola, e giustamente andavano col sole già alto, perché avevano figli piccoli e dovevano lasciarli fuori, cosicché non è che potessero andare alle sette, le otto, bensì quando un po' rischiarava, prima di tutto perché non poteva uscire, perché c'era qualcosa da sistemare in famiglia, perché le famiglie erano tutte numerose, di tanti figli e chi andava lì chi andava là, e giustamente la madre di famiglia non è che appena si alzava andasse direttamente a lavare.
Si discuteva di tutto, di cose che succedevano, di cose anche mentre si lavava perché c'era maggiore possibilità di parlare per trascorrere anche il tempo, non è che trascurassero il lavoro perché allora di poltrire non c'era assolutamente (tempo). Però allo stesso tempo si raccontava di cosa succedesse, e magari “ieri mi ha seguito un giovanotto”, se era nubile, oppure “conoscete costui, mi ha corteggiato, e non so come dirlo a babbo e a mamma, perché non so che persona può essere”, perché allora le cose si facevano sotto osservazione e sotto il controllo degli adulti, ma anche una persona esterna dava informazioni alla famiglia nel dire “bada che ho visto tua figlia insieme a quello”.
Allora succedeva così perché, e il padre e la madre avevano il diritto di chiedere alla figlia chi fosse e chi non fosse, per potersi informare, poiché era necessario che questa persona avesse avuto prima di tutto un mestiere, che fosse stato volenteroso nel lavoro, e fosse stato affezionato alla famiglia. Queste erano le informazioni che tutti i genitori avevano il dovere di chiedere. Una volta poi che i panni arrivavano a casa, bisognava stenderli, giustamente non è che ci fossero le possibilità di stendere dove pareva a loro: poggioli, dove c'erano gli stenditoi moderni di adesso, allora era un filo di ferro, un filo di ferro zincato che poi si arrugginiva anche, e che si metteva da una facciata all'altra della casa attraversando la strada, sempre che la dirimpettaia o le altre vicine fossero d'accordo.
Se non volevano, doveva metterlo nella propria facciata. Se lo montava nella propria facciata c'erano due possibilità: o si metteva il filo di ferro e allora era necessario un bastone forcuto per poterlo spostare, in modo che, ci fosse stato vento non avesse spinto (i panni) contro il muro e gli avesse sporcati nuovamente; altrimenti, c'era, si mettevano generalmente anche le corna del cervo, perché Ozieri di cervi era ricco, perché era ricco di boschi. Quelli si usavano molto per fungere come da mensole nel muro, dove collocavano poi, sopra, la canna e stendevano sulla canna.
Poi allora se il filo di ferro era messo da una facciata all'altra, contro la casa di fronte, cosa succedeva, che prima nel filo di ferro, prima di attaccarlo ci volevano gli anelli, agli anelli allo stesso tempo andavano messi sos giobittos , che erano pezzi di canapa, di spago, questo spago serviva per legare i panni, grandi o piccoli fossero stati, perché mollette non ce n'erano, non esistevano mollette. Allora che succedeva? Che i panni li doveva spostare man mano che li stendeva e li spostava con una lunga canna, in questa canna, sulla punta, aveva messo un chiodo, agganciava su giobittu, e li spostava. Quando occorreva ritirarli, con lo stesso chiodo li tirava. Una volta poi che ne agganciava uno,man mano li ritirava.
Traduzione Cristiano Becciu